Il peso del discriminare e viceversa

Sono una dietista e in quanto tale nell’immaginario comune risulto come una paladina della magrezza e una guerriera della ciccia, armata di arco e frecce, che va in giro a proclamare la correttezza delle diete ipocaloriche contro l’abominio dei chili di troppo e dei pasti ricchi di orridi junk-food.
No, non ci siamo proprio. Per mia natura, ho sempre visto di cattivo occhio la rigidità e la durezza di certi colleghi nell’affrontare tematiche tanto complesse, quali appunto il sovrappeso e l’obesità. E poi ne sono anche convinta: la durezza e la severità non guariranno mai i nostri pazienti. Perché non sono dei semplici modi di fare, ma hanno come solido fondamento il pregiudizio nei confronti di chi ha una diversità rispetto a noi, in questo caso il peso.

Allora mi chiedo: se un professionista che dovrebbe curare tali patologie si lascia avvelenare dal pregiudizio, cosa ci aspettiamo dal resto della società che ci circonda? Quale sarà il modo di porsi della vicina di casa, del collega di ufficio o del compagno di scuola? E che ruolo ha il pregiudizio nei confronti di un eventuale percorso terapeutico per il paziente in sovrappeso o obeso?
Nell’era dove tutti hanno da dire qualcosa, commentando più o meno visibilmente gli altri dalla tv ai social e dove addirittura c’è chi ne ha fatto una professione (“l’opinionista”), ci sentiamo tutti in diritto e dovere di dire la nostra, più o meno a sproposito, chissenefrega, basta impregnarsi di facili moralismi e il gioco è fatto. E allora emerge il caso della ministra belga Maggie De Block, accusata di non essere credibile come ministro della salute perché obesa (i giornalisti sottolineano: “in evidente obesità”). Non importa che sia una persona stimata e molto brava nel suo lavoro. Già, perché quello che conta è che è un cattivo esempio. Come può fare il ministro della salute, diamine. Per ricoprire tale ruolo minimo devi essere una taglia 42 e dichiarare che vai a correre tutti i weekend. Poi magari sei una totale incompetente e decerebrata, fai male il tuo lavoro e metti il tuo Paese in ginocchio, ma questi sono dettagliucci. In politica vogliamo l’immagine e la bella presenza.

Come mai tutto questo accanimento contro gli obesi? La ragione va ricercata nell’immaginario collettivo dei magri, dove l’obeso è un inetto, che non ha mai saputo prendersi cura della propria salute e continua a non farlo volontariamente. A lui manca la forza di volontà. Perché si sa, chi è obeso vuole esserlo, vuole restare in quella condizione, vuole far fatica a camminare, a trovare i vestiti, a salire in macchina, ad allacciarsi le scarpe…è una scelta volontaria e fatta con cognizione. Ma soprattutto, un obeso non è un buon esempio per gli altri, quindi è meglio che non faccia il ministro della salute, ma a pensarci meglio non andrebbe bene nemmeno come medico, e neanche come insegnante…che messaggio darebbe agli alunni? E come estetista? Beh un’estetista obesa non si può vedere…e nemmeno un prete obeso è giusto. Ad essere sinceri è sbagliato far fare a un obeso anche il bibliotecario, che poi magari i ragazzi lo vedono e pensano che a studiare si diventa così. Un assicuratore obeso nemmeno è credibile, guarda che cura ha di sé chissà che impegno metterà nel curare le sue pratiche? In quest’ottica, una persona obesa non potrebbe svolgere nessun ruolo nella nostra società. I suoi chili di troppo sono una colpa, una resistenza, un ostacolo. E il fatto che non cambi stile di vita per dimagrire è proprio perché nella sua indolenza preferisce non fare fatica e restare così com’è. Perché essere obesi non è una fatica, no. E allora l’obesità diventa una malattia anche della coscienza, quella sporca del malato, che subisce la stessa discriminazione di un portatore di handicap, ma non ottiene la stessa “protezione sociale” che, con grandissime battaglie e campagne, i disabili si sono guadagnati duramente negli anni. Una difesa di dignità che attualmente gli obesi non hanno e che difficilmente otterranno se non impariamo noi “società magra” a lavorare sulle parole, sulla comprensione e sulla condivisione umana. Elementi ben lontani dal panorama attuale, dove la discriminazione può raggiungere livelli di crudeltà e violenza inauditi, come quanto accaduto recentemente a Napoli ai danni di un ragazzino, la cui unica colpa è stata ritrovarsi in mezzo a un gruppo di violenti più grandi di lui. Di tale vicenda quello che più mi ha inorridita sono state le parole dei familiari dei colpevoli, segno evidente di qualcosa a livello sociale che non va e che deve essere riparato, sanato, se non vogliamo sprofondare nell’abisso.

In una bellissima lettera, il dott. Francesco Ierrera (responsabile dell’associazione italiana disturbi dell’alimentazione e del peso - AIDAP) spiega molto bene il tipo di discriminazione che subiscono gli obesi, fenomeno a cui gli studiosi hanno anche dato un nome (il “pesismo”). E riconosce come invece siano cruciali genetica e ambiente nel determinare l’obesità delle persone, che non scelgono affatto di essere tali. Un ambiente in cui non solo i cibi di più bassa qualità sono i più accessibili e il movimento è ridotto al minimo dall’uso di auto, scale mobili, ascensori, ecc, ma c’è anche un tessuto sociale altamente discriminante verso l’obeso, a partire dai terapeuti stessi e che ne peggiorano la condizione. Non si parla mai di diete o approcci poco adatti e poco personalizzati, ma d’incapacità del paziente nel seguire i dettami del medico. Ennesima colpevolizzazione ed ennesimo fallimento. Non c’è più la persona al centro, ma il terapeuta con la sua dieta da seguire. Se non ce la finiamo di incolpare gli obesi, non li aiuteremo mai ad affrontare la propria condizione e soprattutto li relegheremo alla condizione di disabilità da cui sarà impossibile per loro uscire. La maggioranza degli obesi infatti ha un lungo trascorso di tentativi dietetici alle spalle, magari con successi, ma sempre a breve termine. Questo perché esercizio fisico e dieta sono solo due pezzetti di un puzzle molto più grande e complesso, fatto di acquisizioni più profonde a cui bisogna condurre il paziente. Anzi, diventa fondamentale scardinare il senso che ha la dieta per l’obeso per ricostruirne uno nuovo, se vogliamo davvero che cambi qualcosa. Sono proprio i fallimenti nelle diete passate a incatenare l’obeso nella sua condizione (in questo specifico post i pericoli nascosti dietro una dieta). Lo dicono i dati e gli studi che le diete dimagranti non funzionano nel lungo termine. Ecco che allora diventa prioritario essere aggiornati ed evitare che il nostro intervento sia inutile o addirittura lesivo, operando attraverso la consapevolizzazione degli stati di fame e sazietà, l’accettazione della propria fisicità, l’abbandono del senso di colpa alimentare e la non-identificazione del peso registrato sulla bilancia con la propria salute e il proprio valore.

Solo comprendendo tutti questi aspetti il terapeuta potrà affrontare la relazione nel modo più responsabile e professionale possibile, garantendo un valido supporto al paziente, con effetti a lungo termine. Prima di puntare il dito contro qualche paziente in difficoltà, pensiamo a fare meglio e più responsabilmente il nostro mestiere, che è molto più difficile e complesso di quanto sia consegnare un rigido schema e arrivederci al prossimo appuntamento. Ma l’impegno non deve provenire solo da noi professionisti. E’ necessaria una maggiore consapevolezza a livello sociale, perché il pregiudizio sta dilagando e sta già lavorando sordidamente, senza che ce ne rendiamo conto, fin quando non accadono eventi drammatici.
Episodi come quello avvenuto a Napoli non solo non dovrebbero più verificarsi,  ma non dovrebbero nemmeno essere lontanamente immaginati.

La foto di questo post è di rattopennugu su Flickr